Oboe

La nascita dell'oboe risale all'antichità. Viene documentata la sua presenza nell'antico Egitto, in Cina, Arabia e Grecia sotto forma di strumenti che possiamo identificare come progenitori dell'oboe, come le ciaramelle e i pifferi. Dall'india invece ci arriva la versione più semplice degli oboi primitivi nota col nome di Oton. Questo aveva un'ancia doppia ed emetteva quarti di tono. Presso i Greci l'oboe era inserito nel gruppo degli strumenti a fiato detti Aulòi. Anche gli arabi avevano il loro oboe o, meglio, ne avevano più di uno. C'era il Nagassàran (piccolo e acuto) e il Soummagiè (più grande e grave). Forme simili a queste sopravvivono tutt'oggi sotto il nome di Zarm in tre specie: lo Zarm al-kabir (grave), lo Zarm (medio) e lo Zarm al-sughayr (acuto) più una versione meno diffusa della Eraggek (il più basso di tutti e intonato per quarti di tono).

Nel Medioevo in Europa si diffuse la famiglia delle bombarde e dalla più piccola di queste, la ciaramella, deriva l'oboe. Il nome attuale di oboe risale al secolo XVII per opera dei francesi, che chiamarono lo strumento Hautbois (ovvero legno alto) proprio in virtù del forte volume di suono. Ovviamente il nome Hautbois esportato nei diversi paesi ha cambiato la sua forma fino a diventare Hautboy in inglese, Obòe in tedesco e Òboe in italiano. Quindi è svelato il mistero della pronuncia del nome; l'accento va sulla prima “o”. L'oboe che conosciamo oggi è l'erede di una lunga tradizione di strumenti ad ancia doppia. La sua importanza tra i fiati dell'orchestra barocca è testimoniata anche dal fatto che l'oboe dà il “La” agli altri strumenti dell'orchestra, alcuni sostengono che dia il “La” perché spesso nelle orchestre sostituiva il violino, altri perchè l'oboe è lo strumento di più difficile intonazione. Per tutto il XVI secolo il cialamello, diretto antenato dell'oboe, mantiene la sua forma più antica; è costruito in un unico pezzo dalla linea molto semplice, con cameratura fortemente conica ed una grossa campana che gli dà un suono molto aspro e potente, quasi da tromba. È solo nel secolo successivo che l'oboe assume una forma simile a quella attuale a tutto vantaggio del suono, che acquisisce una timbrica più morbida assieme ad una maggiore dinamica. L'oboe che si riferisce al periodo barocco è il risultato dell'inventiva dei fratelli Hotteterre, i quali sviluppano un nuovo strumento assai più duttile e sopratutto capace di emettere tutte le note della scala cromatica con discreta omogeneità, cosa che al cialamello era quasi del tutto preclusa. Il nuovo strumento viene costruito in tre parti, le linee acquisiscono grazia ed eleganza per la presenza di ricche modanature ottenute al tornio ma è soprattutto la sezione interna dello strumento ad evolversi, passando dal profilo scalettato dei primi esemplari di Hotteterre ad un profilo composito il quale sopravviverà inalterato per quasi duecento anni fino all'avvento degli artigiani francesi, che dalla metà dell'800 apporteranno nuove radicali innovazioni allo strumento.
La cameratura dell'oboe barocco è a sezione conico-parabolica nel pezzo superiore, conica nel pezzo centrale, cilindrica alla giunzione tra pezzo inferiore e campana e di nuovo fortemente conica per la campana, decisamente svasata, la quale però presenta alle basse uno spesso bordo rivolto verso l'interno. L'oboe barocco, ancora privo di portavoce (il registro superiore si ottiene stringendo l'ancia tra le labbra), presenta sei fori per le dita di cui uno o due doppi.


L'oboe barocco si compone in tre parti:

  • Superiore – ha sulla sommità un caratteristico rigonfiamento (chiamato in gergo “cipolla”), al cui centro si inserisce l'ancia; secondo alcuni è una vestigia della pirouette, il supporto per le labbra parte integrale dell'ancia del cialamello rinascimentale che oggigiorno rimane solo nei modelli tedeschi mentre in quelli francesi è solo accennato.
  • Centrale – ha solo due chiavi le cui leve sono sagomate a cuore o a coda di pesce in modo da poter essere azionate sia dal mignolo destro sia dal sinistro: in origine l'oboe poteva essere suonato come oggi, con la mano sinistra sopra e la destra sotto che lo sostiene, ma anche al contrario.
  • Campana – di maggiori proporzioni rispetto all'oboe contemporaneo è munita di uno o più fori di sfogo per regolare l'intonazione.

Con il tempo la struttura dello strumento resta pressoché invariata, quello che cambia profondamente è il numero di chiavi ed il profilo delle modanature. Nel XIX secolo le innovazioni operate alla meccanica dei flauti furono portate anche sull'oboe, soprattutto per quanto riguarda le chiavi ad anello. Grandi cambiamenti furono fatti dai fratelli Triebert che eliminarono quasi del tutto la “cipolla” in corrispondenza della boccola porta-ancia e aumentarono l'estensione bassa.
Nel 1900 il costruttore Lorèe, avvalendosi dell'aiuto del maestro Gillet, perfezionò ulteriormente lo strumento migliorando le posizioni dei trilli e la chiusura dei fori.
Un'importante modifica alla meccanica dell'oboe come concepito da Lorée è stata operata dall'italiano Giuseppe Prestini mediante lo spostamento della chiave del Si basso dal mignolo sinistro al pollice sinistro (con una leva collocata posteriormente) e del raddoppio di quella del Do#, azionato dal mignolo sinistro per mezzo della leva originariamente assegnata al Si basso. La meccanica ideata da Prestini facilita il passaggio Si-Re#, che nel sistema originale richiede in entrambe le posizioni lo scivolamento dei mignoli da una chiave all'altra del medesimo gruppo, e l'esecuzione della scala cromatica partendo dal Sib. L'oboe del sistema Prestini, noto anche come come «sistema italiano», è stato per decenni il sistema standard nel nostro Paese. Viene tuttora realizzato su richiesta dai maggiori produttori.
Un'ulteriore modifica si è avuta a fine '900 con l'introduzione del portavoce automatico in cui è abolita la leva a spatola del secondo portavoce, azionata dal fianco dell'indice sinistro. Nel «sistema automatico» è presente una singola leva per il pollice sinistro ed il sincronismo tra la chiusura del primo portavoce e l'apertura del secondo in corrispondenza del passaggio da Sol# a La è attuato sollevando l'anulare sinistro dal relativo piattello o anello, esattamente come avviene sul saxofono. Tale meccanismo, diffuso soprattutto in Germania e nei Paesi europei dell'ex blocco comunista, nel resto del mondo oboistico ha avuto scarsa diffusione a causa delle limitazioni imposte dal meccanismo nell'uso delle diteggiature alternative, correttive ed armoniche. Oggi solo alcuni tra i maggiori produttori al mondo hanno in catalogo questo tipo di meccanica, offerto come possibile variante a quella “classica”.

Attualmente il sistema di meccanica più usato e diffuso, di fatto lo standard nella maggior parte dei Paesi europei, negli Stati Uniti ed in Giappone, è il Gillet A6 Conservatoire originario del 1902, perfezionato nel 1906 con l'avvento dei piattelli al posto degli anelli e chiamato comunemente «sistema francese». Gli strumenti di questo tipo sono prodotti con meccanica completa o semplificata; quest'ultima, omettendo alcune chiavi ausiliarie utili ma di fatto non indispensabili in fase di apprendimento, è montata sugli strumenti economici da studio. La dotazione completa in genere comprende:

  • tastiera chiusa a piattelli, di cui il 1°, 2°, 3° e 5° forati
  • piattello del “mezzo buco” (indice sinistro) con regolazione indipendente dell'apertura
  • due chiavi per i trilli sul passaggio di registro, di cui una duplicata
  • boccola composita per il trillo Mib-Mi (anulare destro) con adiacente chiave ausiliaria per il trillo Do-Do#
  • articolazione del gruppo Do/Do#/Mib (mignolo destro)
  • chiavi gemellate basculanti del Si basso/Mib (mignolo sinistro)
  • chiave di Sol# articolata (mignolo sinistro)
  • chiave duplicata del Sol# (indice destro) sincronizzata con il 3° piattello per il trillo
  • chiave duplicata del Fa (mignolo sinistro)
  • correttore automatico del Fa “a forchetta”
  • correttore del Sib basso alla campana (con doppia connessione in alcuni modelli)
  • chiavi ausiliarie per i trilli
  • portavoce semiautomatico
  • terzo portavoce, azionato dal pollice sinistro per mezzo di una leva sovrapposta a quella del primo

L'estensione dell'oboe va dal Sib sotto il Do centrale del pianoforte fino al La due ottave sopra. Il Sib grave ha suono robusto e difficile da addolcire, il Reb grave è delicato da attaccare.



Oltre il Re alto il timbro dell'oboe si modifica e il suono perde le sue caratteristiche tipiche. Salendo ulteriormente si raggiunge il limite acuto. Al di sopra di questo limite, i suoni si fanno piuttosto brutti. I suoni di maggiore rendimento hanno timbro omogeneo e sono caratterizzati da un'intonazione stabile che può essere corretto comunque dall'esecutore. L'oboe non è uno strumento traspositore.

L'oboe si caratterizza per un timbro abbastanza mordente, nasale e simile a quello di una cornamusa: dolce, espressivo, lo strumento malinconico dell'orchestra. Ha una nasalità intrinseca che aumenta man mano che si forza il suo suono. L'oboe ha tre registri:

  • Grave – è formato da suoni fondamentali
  • Medio – è formato dai suoni 2 del registro grave
  • Acuto – è formato da armonici più elevati

Il passaggio da un registro all'altro non è molto sensibile a meno che non siano in gioco i registri più gravi che hanno delle caratteristiche particolari. Il colore dell'oboe è così insinuante, che acquista facilmente rilievo, infatti bisogna tener conto di questo ai fini di una buona economia dei rapporti timbrici. L'oboe non ha deviato dalla sua funzione di strumento d'espressione, tuttavia negli ultimi tempi ha molto esteso la sua agilità, fino a quasi gareggiare con il flauto e il clarinetto che vedremo in seguito. In particolare l'oboe si caratterizza per:

  • Trilli – sono possibili e di buon effetto, sia nel piano che nel forte, i trilli con le note più gravi sono meno comodi.
  • Tremoli – nell'oboe come nel flauto le anomalie dei tremoli difettosi, sono più evidenti nel forte che nel piano.
  • Legato – lo strumento è più adatto ai passi espressivi e cantabili che non all'agilità, tutti gli intervalli si possono legare, ma è più facile legare gli intervalli ascendenti rispetto ai discendenti.
  • Staccato – è pungente, preciso e di ottimo effetto, ma non può essere rapido come per il flauto. Non può essere eseguito molto forte e l'esecutore ha bisogno frequente di riposare.
  • Suoni Armonici – quelli diversi dalla pratica usuale dello strumento producono suoni dolci ed eterei, e, forse per la loro intonazione a volte poco precisa sono di particolare effetto, il che può essere sapientemente sfruttato.
  • Suoni Frullati – qualche esecutore riesce ad ottenere suoni frullati, sia pure per un breve periodo, il loro suono è però poco spontaneo ed efficace.
  • Sordina – raramente presente e con scarse applicazioni pratiche.
  • Respirazione – difficile e faticosa ma con possibilità che nessun altro strumento a fiato può avere.

L'oboe moderno generalmente costruito in ebano o meno frequentemente in palissandro (chiamato spesso “legno di rosa”) con le sue meccaniche in metallo è utilizzato oggi generalmente nella musica da camera, nelle bande o nelle orchestre sinfoniche, ma anche più raramente come solista nel jazz. I principali compositori che hanno scritto per questo strumento sono Antonio Vivaldi, Tomaso Albinoni, Johann Sebastian Bach, Alessandro Marcello, Georg Friedrich Handel, Wolfgang Amadeus Mozart, Robert Schumann, Richard Strauss. Oggi lo strumento si è diffuso anche in brani di musica leggera.