Il violino, ha quattro corde accordate ad intervalli di quinta. Si tratta del più piccolo tra i membri della famiglia, capace di realizzare note più acute rispetto agli altri strumenti che la costituiscono. La corda più bassa (e quindi la nota più bassa ottenibile) è il sol2, il sol subito sotto al do centrale (do3); le altre corde sono in ordine crescente, il re3, il la3 e il mi4.
Le parti per violino utilizzano sempre la chiave di Sol, detta comunemente chiave di violino. Quando devono essere eseguite note e passaggi particolarmente acuti, si usa un'apposita indicazione cha avvisa di trasportare le note interessate un'ottava sopra. Ecco in figura l'estensione del violino: Uno dei più grandi violinisti di tutti i tempi fu Niccolò Paganini, nato a Genova nel 1782. I liutai più famosi sono stati anch'essi italiani, tra questi Antonio Stradivari, Giovanni Paolo Maggini, la famiglia Testore, e le dinastie dei Guarnieri e degli Amati. Parliamo quindi di com'è fatto un violino. La parte risonante del violino è costituita dalla cassa armonica (o di risonanza), in legno, costruita con grande accuratezza e precisione sia per quanto riguarda i materiali, sia per quanto riguarda le finiture e le dimensioni. La cassa armonica dello strumento, di lunghezza standard di 35,6 cm (tra i 34,9 e i 36,2 cm), di forma curva e complessa, (ricorda abbastanza la forma del numero 8), è costituita da una tavola armonica (detta anche piano armonico), di abete rosso e da un fondo, generalmente in acero montano, uniti da fasce in legno d'acero curvato. Il fondo può essere formato da un unico pezzo di legno (fondo unico), oppure da due pezzi affiancati. Le fasce vengono modellate a caldo con un apposito ferro. Sia fondo che piano armonico sono convessi e il loro spessore varia dal centro dei due piani verso il bordo esterno. Le elaborate curvature vengono ottenute con un certosino lavoro di scultura e a pochi millimetri dai bordi (che sporgono dalle fasce) viene intagliata una micrometrica "trincea" in cui viene inserito uno "spessore" formato da tre strati di essenze di legno (generalmente ebano - ciliegio - ebano) chiamato filetto; il filetto ha una funzione di "contenimento" delle fibre impedendo il propagarsi di eventuali crepe del legno dal bordo verso il centro, oltre che abbellire lo strumento sottolineandone le curve. Nel piano sono ricavate le uniche due aperture della cassa, due fessure chiamate effe per la loro forma che ricorda esattamente la lettera dell'alfabeto; in origine erano fessure ricurve a "C". Internamente, incollata per circa quattro settimi della lunghezza totale della tavola armonica, è situata la catena, un listello in legno di abete, lavorato e sagomato in modo che aderisca perfettamente alla curvatura interna del piano. Essa contribuisce a "distribuire" la pressione generata dalle corde tese (da circa 4,2 kgp per la 4ª corda a 9,2 kgp per il cantino); in più distribuisce le vibrazioni prodotte dalle corde lungo tutto il piano armonico. Tavola armonica e fondo sono collegati tra loro tramite una sottile asticella cilindrica di abete posta all'interno della cassa armonica, detta "anima". Essa è incastrata in una precisa posizione, vicino al "piede destro" del ponticello; serve a trasmettere le vibrazioni al fondo dello strumento e, anch'essa, interviene distribuendo sul fondo la pressione impressa dalle corde. Il posizionamento corretto dell'anima è fondamentale per ottenere la migliore qualità sonora ed il giusto equilibro timbrico e di intensità fra le 4 corde. Nella cassa armonica è innestato superiormente il "manico", di acero, che termina nella cassetta dei piroli o cavigliera, ornata superiormente da un fregio ad intaglio chiamato riccio o ricciolo. Sulla faccia superiore del manico è incollata la tastiera, in ebano, sulla quale il violinista premerà le corde con le dita. Le estremità superiori delle corde vengono avvolte attorno ai "piroli" o "bischeri" nella cavigliera (che servono a tenderle e modificarne la tensione, quindi all'accordatura). Le corde passano su di un sostegno all'inizio del manico ("capotasto"), scorrono al di sopra della tastiera e si appoggiano sul "ponticello", una lama verticale, in legno di acero, che trasmetterà la vibrazione delle corde al piano armonico. Vanno infine a fissarsi alla "cordiera", collegata, per mezzo di un apposito cavo, al "bottone". Il ponticello ha due funzioni: trasmette le vibrazioni sonore alla cassa armonica, dove vengono amplificate e riflesse, uscendo infine dalle effe; mantiene le corde in una posizione arcuata, permettendo all'archetto di toccarne una sola. Il violino nella sua forma moderna è, nella sua essenza quanto mai "antica" ed artigianale (non contiene alcuna parte metallica al di fuori delle corde), una "macchina di precisione" in uno stato di delicatissimo equilibrio: le forme, i vari elementi ed anche i più minuti dettagli costruttivi, oltre alla grande cura nel montaggio, derivano da un affinamento rimasto quasi immutato da più di 500 anni. Le curvature di piano e fondo, la forma della catena e delle "effe" e lo spessore dei legni usati sono determinanti per la qualità e la personalità del suono dello strumento. Su questi parametri si può, in parte, anche intervenire a posteriori: spostare anche solo di un millimetro gli elementi "mobili" come anima e ponticello provoca cambiamenti evidenti: è la cosiddetta "messa a punto" dello strumento eseguita per ottenere caratteristiche sonore ricercate dal violinista o per ottimizzare la resa dello strumento. Va ricordato che anche la vernice, a base d'olio o di alcool e ricca di resine vegetali ed ingredienti di origine molto antica, può avere influenza sul suono dello strumento. I liutai sono da sempre impegnati nello studio delle antiche ricette per le vernici e nell'elaborazione di nuove, dal momento che la vernice determina in maniera forte l'impressione estetica dello strumento e condiziona anche la resa sonora. L'archetto, più spesso semplicemente detto arco, è costituito da un'asticella di legno molto elastico, modellato e curvato a fuoco, ai cui estremi (detti punta e tallone) viene agganciato un fascio di crini di cavallo, tenuto teso da un meccanismo a vite chiamato nasetto. La bacchetta può avere sezione circolare per tutta la sua lunghezza (più frequente negli archi di grande pregio), oppure sezione ottagonale per più di metà arco smussandosi poi alla punta fino a raggiungere la sezione circolare. I crini vengono fatti sfregare sulle corde mettendole in vibrazione e producendo il suono. Per ottenere un maggiore attrito necessario per far vibrare le corde, il violinista passa i crini su di un composto di colofonia (detta comunemente "pece") ed altre resine che lasciano sui crini una polvere fine e bianca con un lieve effetto adesivo. Come accennato sopra, il piano armonico, la catena, l'anima ed altri piccoli rinforzi interni alla cassa vengono costruiti con l'abete rosso, un legno leggero, ma molto resistente ed elastico, adatto a trasmettere le vibrazioni, che a questo scopo viene selezionato di venatura diritta e regolare. Fondo, fasce, manico - spesso anche il ponticello - sono in legno d'acero dei Balcani, un legno duro e più "sordo" il cui compito è quello di riflettere più che di trasmettere il suono; a volte vengono usati anche legni meno nobili come il pioppo, il faggio o il salice. le parti della montatura - come piroli, capotasto, cordiera, reggicordiera, bottone - sono realizzati in legno duro da ebanisteria, soprattutto ebano, palissandro o bosso, capotasto e reggicordiera a volte sono in osso, la tastiera è quasi sempre di ebano, la cordiera a volte è di metallo, plastica o carbonio. Alcuni strumenti antichi, erano rifiniti in avorio o riccamente intarsiati, ma anche oggi alcune parti possono essere rifinite con intarsi in osso o madreperla. La stagionatura dei legni è fondamentale per la qualità del suono e la stabilità dello strumento ed i legni più stagionati sono molto ricercati e quotati. Le corde un tempo erano fatte utilizzando budello animale, soprattutto di pecora, lavato, trattato ed arrotolato a formare un filo: questo genere di corde, con pochi adattamenti tecnologici, venne usato fino alla metà del XX secolo. Tali corde sono ancora usate abitualmente nelle "esecuzioni filologiche", nelle quali l'uso di strumenti e tecniche esecutive propri dell'epoca della composizione costituisce uno degli elementi guida dell'interpretazione musicale. Tuttavia, queste corde hanno una tendenza accentuata a perdere l'accordatura in conseguenza alle condizioni esterne (temperatura ed umidità) ed al riscaldamento prodotto dalla mano dell'esecutore, a deteriorarsi e a rompersi con maggior facilità rispetto alle corde moderne. Le moderne corde del La, Re e Sol sono dotate di un'anima in fibra sintetica (nylon, rayon, o anche carbonio), oppure in budello, circondata da un avvolgimento di seta e sempre rivestite esternamente con una sottile fascia di metallo (acciaio, alluminio, argento e persino oro) per conferire una maggiore massa all'insieme, così da permettere di produrre le note più gravi mantenendo la corda abbastanza sottile. La corda del Mi (la più acuta, detta cantino) è quasi sempre costituita da un unico sottile filo di acciaio armonico. Le corde con anima sintetica sono oggi utilizzate più frequentemente, dal momento che permettono di ottenere un suono intenso e brillante con maggiore durata e stabilità nell'accordatura. Per contro degradano più rapidamente rispetto a quelle con anima in budello. Il suono delle corde con anima in budello è più potente, caldo e morbido, ma il prezzo di vendita è più alto. La scelta viene generalmente fatta in base alle caratteristiche dello strumento, all'uso che se ne fa, al repertorio che si intende eseguire e alle preferenze individuali dello strumentista. Il legno utilizzato per la bacchetta dell'archetto è generalmente di origine tropicale, ma oggi si sta affermando sempre di più la fibra di carbonio come materiale di ottimo rendimento e prezzo contenuto per la fascia di qualità media. Nel passato venivano anche usati altri tipi di legno, come il legno ferro o il legno serpente, tipici degli archi del periodo barocco. È noto da molto tempo come lo spessore del legno e le sue proprietà fisiche incidano grandemente sul suono prodotto da uno strumento a corde come il violino. L'intensità ed il timbro del violino sono determinati dal modo in cui la cassa armonica si comporta da un punto di vista acustico, secondo gli schemi determinati dal fisico tedesco Ernst Chladni. I cosiddetti nodi (che corrispondo ai punti dove non si ha movimento) individuati tramite dei granelli di sabbia sparsi sulle placche mentre queste vibrano a certe frequenze, corrispondono a quello che viene chiamato "schema di Chladni". Questo procedimento di controllo e verifica delle vibrazioni e della risonanza viene utilizzato dai liutai per verificare il lavoro prima di terminare il montaggio dello strumento. La conoscenza della frequenza di vibrazione della tavola armonica e del fondo di un violino, può farsi per via teorica in base alle caratteristiche del legno ed agli spessori dello stesso. Un violino di dimensioni standard è denominato intero o 4/4, ed è destinato a suonatori che hanno raggiunto le misure di un adulto; la sua lunghezza complessiva è generalmente di 59 cm, mentre lo standard per la lunghezza della cassa armonica è di 35,6 cm; questa dimensione è una standardizzazione delle esperienze dei costruttori del periodo della liuteria classica, presso i quali può variare dai 34 cm (il cosiddetto "violino 7/8") ai 38 cm. I violini di Antonio Stradivari hanno la cassa armonica lunga più di 36,2 cm nel periodo "sperimentale" (1691-1698), mentre si assestano tra i 35 ed i 35,8 nella maturità. I bambini che suonano il violino utilizzano strumenti di dimensioni ridotte, che, pur avendo le varie parti proporzionalmente più piccole, sono funzionalmente identici ai violini di dimensioni normali. Questi strumenti sono realizzati nei tagli di tre quarti (corrispondente a una lunghezza della cassa da 32 a 34 cm), mezzo (da 30 a 32 cm) e così via fino al sedicesimo. Occasionalmente, un adulto di piccola corporatura può usare un violino 7/8, anziché uno di dimensioni standard. Talvolta chiamati "violini da donna", hanno una cassa armonica lunga 34-35 cm. Un timbro particolare è quello risultante dal suono della cosiddetta corda vuota, ossia della corda senza che vi si trovi alcun dito della mano sinistra. La corda vuota dà il suono della nota corrispondente (Sol, Re, La, Mi), con una connotazione particolare, derivante dall'assenza dell'azione di smorzamento di un dito e dal fatto che non è possibile l'azione del vibrato. A parte il Sol2 (che non può essere ottenuto in altro modo), le corde vuote vengono generalmente utilizzate per produrre un effetto particolare, oppure per comodità nei passaggi. Un effetto abbastanza singolare che viene ottenuto per mezzo della corda vuota è il bariolage. Per realizzarlo, il violinista esegue la stessa nota di una delle corde vuote (necessariamente il Re, il La o il Mi) sulla corda immediatamente più bassa, quindi sposta l'archetto con un movimento rapido ondeggiante, provocando alternativamente la vibrazione della corda vuota e di quella che riporta la pressione del dito della mano sinistra. Il suono ottenuto ha la stessa altezza, ma il timbro della corda vuota rispetto a quella dove si trova il dito risulta diverso. Il bariolage era un accorgimento particolarmente utilizzato da Franz Joseph Haydn che lo ha impiegato, ad esempio, nel suo quartetto d'archi Opera 50 n° 6, e nella Sinfonia n° 45 "Farewell". L'uso polifonico del violino consiste nel suonare contemporaneamente due corde contigue; esso è chiamato "corde doppie" ed anche "raddoppio" nell'ambito della musica folk, nella quale viene largamente utilizzato. Per realizzare questa tecnica è necessaria una grande coordinazione di movimenti e un'elevata precisione nella posizione della mano sinistra e della relativa diteggiatura: l'azione di più di un dito della mano sinistra richiede uno sforzo maggiore e grande esattezza per evitare di produrre una stonatura. È possibile anche suonare su tre o su tutte e quattro le corde suonando l'accordo a mo' di arpeggio, in quanto, a causa della curvatura del ponticello, non è possibile eseguire i suoni dell'accordo contemporaneamente. I primi esempi di utilizzo della tecnica delle corde multiple nel violino si ritrovano nel Capriccio stravagante (1627) di Carlo Farina e in alcune sonate dell'opera VIII di Biagio Marini (1629). Le corde doppie ebbero particolare importanza nell'opera di vari compositori del tardo '600 tedesco ed austriaco (Johann Schop, Johann Heinrich Schmelzer, Johann Jacob Walther, Heinrich Biber, Nicolaus Bruhns e Johann Paul von Westhoff) e sono la caratteristica preminente in alcuni dei capisaldi della letteratura solistica per il violino, dalle Sonate opera V di Arcangelo Corelli alle Sonate e partite per violino solo di Johann Sebastian Bach, dai Capricci di Niccolò Paganini alle sonate per violino solo di Eugène Ysaye, Sergej Prokoviev, Ernest Bloch, e di tutti gli altri compositori che hanno dedicato opere solistiche al violino nel corso del XX secolo. Il suono del violino ha quindi diversi aspetti secondo come e dove la corda viene messa in vibrazione e anche secondo quale tecnica viene usata:
Discorso più ampio e approfondito invece faremo per il vibrato, che è ciò che da “vita” al suono del violino: nella prassi esecutiva di oggi esso è parte integrante del suono e viene eseguito in maniera continua, con la sola eccezione dei passaggi troppo rapidi perché esso possa essere udito. È un accorgimento utilizzato praticamente sempre dai violinisti e consiste nella variazione molto rapida, ma contenuta, dell'altezza del suono attorno alla frequenza esatta per esprimere la nota desiderata. Ciò viene ottenuto oscillando leggermente, in avanti e indietro (lungo la direzione della tastiera), il dito che preme sulla corda. Si tratta quindi di una voluta, rapidissima, successione di "stonature". Spesso si pensa che il vibrato possa in qualche modo nascondere una leggera stonatura della nota, dal momento che se il tono varia leggermente l'orecchio umano non dovrebbe afferrare eventuali imprecisioni. In realtà alcune ricerche a carattere sperimentale hanno dimostrato il contrario. L'orecchio umano riconosce la media della frequenza di una nota (e delle sue variazioni) eseguita con il vibrato con la stessa precisione con cui riconosce quella di una nota ferma. Non è detto che i risultati ottenuti in condizioni sperimentali siano sempre del tutto compatibili con quanto risulti nelle esecuzioni dal vivo: l'effetto del vibrato, quando i tempi sono rapidi, può comunque mascherare alcune imperfezioni nella posizione e quindi nell'intonazione delle singole note. Tuttavia queste considerazioni hanno una certa importanza nell'ambito dell'insegnamento, che ora mette in guardia l'allievo sul fatto che le note stonate non necessariamente vengono nascoste con il vibrato. Non esiste un unico tipo di vibrato: esso è innanzitutto molto personale, dato che si tratta di un qualcosa di prevalentemente istintivo; inoltre il vibrato deve adattarsi al tipo di musica che si sta eseguendo. Nelle consuetudini esecutive odierne, per la musica romantica è richiesto un vibrato abbondante ed energico, per la musica classica è preferito un vibrato continuo ma contenuto. Alcuni generi musicali richiedono un uso limitato del vibrato: fino a non molto tempo fa si riteneva che dovesse essere insegnato come qualcosa di necessario e dato per assunto a meno che lo spartito non richiedesse espressamente il contrario; con l'avvento dello studio della prassi storica della musica del passato, ci si è resi conto che il vibrato fino a tutto il XIX secolo era un effetto, un vero e proprio abbellimento che la convenzione dell'epoca indicava di eseguire in casi specifici e non indiscriminatamente su di un intero brano musicale. Il vibrato viene anche considerato come un'impronta digitale dei grandi interpreti, proprio per la singolarità fisico/corporea di ogni esecutore che rende il suono personalissimo. Gli armonici possono essere creati toccando la corda con un dito, senza però premerla sulla tastiera. Il risultato è un suono più acuto, dal momento che la presenza del dito blocca la nota fondamentale della corda; per questo la corda deve essere toccata esattamente in corrispondenza di uno dei nodi, con una divisione esatta della corda stessa. Per esempio, precisamente a metà, o un terzo: quando il dito tocca il nodo in uno di questi punti la corda vibra in modo diverso, in questi due esempi, rispettivamente, nelle due metà uguali e nelle due suddivisioni di un terzo e due terzi in cui si divide, risulta un suono più alto di un'ottava nel primo caso e di una dodicesima (ottava più quinta) nell'altro caso. Gli armonici sono segnati nella partitura con un piccolo cerchietto sopra la nota, che determina il tono dell'armonico stesso. Esistono due tipi di armonici, quelli naturali e quelli artificiali. Gli armonici naturali sono del tipo descritto nel primo paragrafo, si ottengono semplicemente toccando la corda con un dito in un punto nodale. Questa tecnica è relativamente facile, quindi adatta sia ai principianti, sia agli studenti di livello intermedio. Gli armonici artificiali, invece, sono molto più difficili da ottenere, normalmente sono alla portata soltanto dei violinisti che hanno già raggiunto un buon livello di padronanza con lo strumento e con questa tecnica in particolare. Questo metodo di realizzazione dell'armonico prevede che un dito prema normalmente la corda in un certo punto, per esempio la corda del Re per ottenere un "Mi", con un altro dito che tocchi la corda una quarta più in alto, in questo caso sulla posizione della nota "La". Quando il violinista preme la corda in un punto e la tocca leggermente con il quarto dito nella maniera descritta, viene toccato il nodo che si trova ad un quarto della lunghezza della parte della corda che vibra, provocando la vibrazione della corda in quattro parti, producendo un suono due ottave più in alto della note che viene suonata (nel caso descritto un "Mi"). La distanza tra le due dita deve essere assolutamente precisa, altrimenti l'armonico non suona. Inoltre, anche la pressione dell'archetto, oltre a quella delle due dita deve essere esattamente calibrata, pena la perdita del suono. Questo è il motivo della maggiore difficoltà della realizzazione degli armonici artificiali rispetto a quelli naturali. La notazione musicale degli armonici artificiali utilizza di norma due note sulla stessa astina: la nota più bassa utilizza una nota normale che indica dove la corda viene tenuta premuta con il primo dito, mentre la nota più alta utilizza una nota a forma di rombo, che indica la posizione dove la corda viene leggermente toccata con il quarto dito. Brani assai elaborati con l'utilizzo degli armonici artificiali si trovano nelle composizioni di tipo virtuosistico per violino, specialmente del XIX secolo e dell'inizio del XX come ad esempio nelle danze rumene di Béla Bartók o la Csárdás di Vittorio Monti. Il violino viene accordato ruotando i piroli (chiamati anche bischeri) nel cavigliere. Dal momento che le corde sono avvolte intorno ad essi, il loro movimento aumenta o diminuisce la tensione. La corda del La viene accordata per prima, generalmente a 440 Hz (nelle orchestre si basano invece su 442 Hz), utilizzando un corista o un diapason; alternativamente si possono usare il tasto corrispondente sul pianoforte o accordatori digitali. Le altre corde vengono accordate in base alla prima, ad intervalli di quinta. È possibile installare sul violino delle viti di precisione, che tendono o rilasciano la corda di pochissimo. Questo tipo di accordatura è normalmente più semplice di quanto non lo sia l'uso dei piroli, quindi viene utilizzato in fase di studio dai principianti. In genere queste funzionano meglio e sono più utili per le corde in metallo, dal momento che la tensione è più alta; hanno però il difetto di appesantire la cordiera con qualche effetto negativo sul suono, motivo per cui nei concerti di professionisti questi dispositivi non vengono mai usati. Su molti violini questo ausilio viene utilizzato solo per il cantino (da cui il nome di tiracantin o tendicantino). Spesso delle piccole modifiche all'accordatura vengono fatte tirando una corda con un dito, per allentarla leggermente ed assestarla. L'accordatura Sol-Re-La-Mi è utilizzata per la stragrande maggioranza dei violini, tuttavia esistono altri sistemi che vengono impiegati occasionalmente, per esempio accordando la quarta corda in La, sia nella musica classica (dove questa tecnica è nota come scordatura) sia in alcuni stili folk. Dalle origini, al 1700 – All'inizio della sua storia, durante la II metà del XVI secolo, il violino era utilizzato non come strumento indipendente, ma come componente della famiglia delle viole da braccio, nella quale ricopriva il posto della voce di soprano, analogamente a quanto accadeva con altri tipi di strumenti: flauti dolci, viole da gamba, bombarde, tromboni, cornetti, cromorni. Perciò, le prime composizioni destinate al violino appartengono a quell'ampio repertorio strumentale polifonico del '500 che veniva eseguito indistintamente da un qualsiasi tipo di famiglia di strumenti: fantasie, suites di danze, trascrizioni di brani vocali. Una delle primissime forme che si stacca dalla pratica polifonica e delinea il violino in funzione solistica è la pratica dell'improvvisazione (diminuzione) su madrigali o altri brani vocali, che fiorisce soprattutto nel finire del secolo XVI e nell'inizio del XVII, ad opera dei primi virtuosi di tutti i vari tipi di strumenti: cornettisti, flautisti diritti e traversi, violinisti, violisti da gamba, tastieristi, liutisti, arpisti. Le prime opere solistiche espressamente dedicate al violino vedono la luce nei primi anni del '600 in Italia e sono prodotte da una nutrita schiera di compositori che mettono la pratica strumentale al servizio delle istanze espressive di Claudio Monteverdi e degli altri compositori di musica vocale della cosiddetta "seconda pratica". Tra i più importanti, ricordiamo Dario Castello, Giovanni Paolo Cima, Biagio Marini, Salomone Rossi, Giovanni Battista Fontana, Marco Uccellini. Le forme più usate sono la canzone e la sonata; l'organico che immediatamente predomina è quello formato da due violini (dove uno dei violini può essere sostituito da uno strumento di un'altra famiglia, in particolare dal cornetto) e dalla parte del basso continuo, eseguito da uno o più strumenti polifonici (organo, clavicembalo, arpa, liuto), al quale si può talvolta trovare aggiunta una parte di "basso obbligato", eseguibile con uno strumento ad arco (violoncello,viola da gamba) o anche a fiato (fagotto, trombone). La scrittura si caratterizza immediatamente per uno spiccato interesse alla sperimentazione tecnica. Nella seconda metà del secolo XVII, se in Italia si va gradualmente verso uno strumentalismo più "classico", in una ricerca di maturità e plasticità, che trova la sua massima espressione in Arcangelo Corelli, nei paesi di lingua tedesca si afferma una scuola violinistica ancora molto interessata all'aspetto della sperimentazione tecnico-espressiva; a questa corrente appartengono anche Johann Jakob Walther, Johann Heinrich Schmelzer ed il suo allievo Heinrich Ignaz Franz Biber. In questi compositori, l'interesse per il linguaggio solistico polifonico del violino (le cosiddette "doppie corde", ovvero accordi formati da 2 a 4 suoni, eseguiti appoggiando l'arco contemporaneamente su due corde e muovendolo poi nel corso dell'arcata fino a toccare anche le altre note) diventa ossessivo ed elabora la tecnica che sarà poi utilizzata nelle opere per violino solo da Johann Sebastian Bach ai giorni nostri. Dal 1700 al 1800 – La scrittura corelliana diviene un modello di riferimento nelle forme più tipiche della letteratura violinistica: la sonata a tre, la sonata "a solo", ossia violino e violoncello o cembalo (basso continuo), e il concerto grosso. A sua volta, ognuna di queste forme presenta due diverse tipologie: da chiesa e da camera. La sua influenza attraversa tutta la musica strumentale di gusto italiano della prima metà del XVIII secolo, in particolare nell'ambito sonatistico. Tra i più importanti compositori di sonate in stile italiano, ricordiamo Antonio Vivaldi, Francesco Geminiani, Francesco Veracini, Francesco Antonio Bonporti, Giuseppe Tartini, Tomaso Albinoni. Oltre che nella musica di stile italiano, la sonata corelliana introduce di fatto in Francia una scrittura strumentale più sviluppata dal punto di vista tecnico, armonico e drammatico; essa è fonte d'ispirazione, pur mescolata agli stilemi caratteristici del gusto francese, per le opere di Élisabeth Jacquet de La Guerre e, più tardi, di François Couperin e Jean-Marie Leclair. Ancora, in Inghilterra, le sonate di ambiente romano della seconda metà del '600 sono studiate, imitate e diffuse dai compositori più importanti che operano nel paese: Henry Purcell, alla fine del '600, Georg Friedrich Händel nel '700. Successivamente, la sonata si sviluppa in due direzioni: da un lato, a partire dalle 6 Sonate per violino e clavicembalo di Johann Sebastian Bach, verso una letteratura con strumento a tastiera concertato, in cui il violino ricopre un ruolo secondario (ricordiamo innanzitutto la splendida serie delle sonate e variazioni per pianoforte e violino di Wolfgang Amadeus Mozart), tipologia formale che sfocerà nella sonata romantica per pianoforte e violino; dall'altro lato, verso l'allargamento ad organici nuovi: trii, quartetti, quintetti, di soli archi o con pianoforte (più raramente con flauto o oboe). In particolare, la nuova forma del quartetto per archi assume una grande importanza nell'elaborazione del nuovo linguaggio strumentale della II metà del XVIII secolo, in particolare attraverso opere marcate da grandi differenze di scrittura "nazionale": tra i molti che vi si cimentarono, ricordiamo Johann Christian Bach (tedesco, ma attivo prima a Milano e poi a Londra), Luigi Boccherini e Giuseppe Cambini in Italia, François-Joseph Gossec e Rodolphe Kreutzer in Francia, Carl Stamitz in Germania, Franz Joseph Haydn e Wolfgang Amadeus Mozart in Austria. Il concerto corelliano pone le radici da cui si sviluppa la forma del concerto solista, che a partire dai primi esperimenti di Giuseppe Torelli si sviluppa nelle opere di Antonio Vivaldi, Johann Sebastian Bach, Pietro Antonio Locatelli, Jean-Marie Leclair e Giuseppe Tartini in una forma di enorme successo. Nella seconda metà del secolo, il violino concertante, da principale (ossia primo violino dell'orchestra che si stacca episodicamente, eseguendo i suoi assoli) diventa un elemento indipendente che si contrappone alla massa orchestrale. Da questo momento, "il concerto per violino ha costituito sino ai nostri giorni la palestra più completa per l'estrinsecazione delle capacità tecniche ed emotive dell'esecutore". I concerti appartenenti a questo periodo di transizione sono oggi poco eseguiti, con l'eccezione delle opere di Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Joseph Haydn e Giovanni Battista Viotti. Dal 1800 a oggi – Il nuovo secolo, fortemente marcato da una nuova sensibilità artistica, il Romanticismo, non crea nuove forme ma elabora e sviluppa quelle che si erano affacciate nella seconda metà del secolo precedente: il concerto, la sonata (pianoforte e violino, trio con pianoforte e violoncello, quartetto e quintetto di soli archi, o con pianoforte). Insieme al pianoforte, il violino è lo strumento che meglio si adatta alle richieste espressive dei compositori di questo periodo: oltre alle possibilità liriche, già ampiamente sfruttate nei secoli passati, una legione di violinisti virtuosi sperimenta una nuova tecnica esecutiva irta di difficoltà e funambolismi che viene largamente utilizzata dai maggiori compositori dell'epoca in funzione eroica e drammatica. Tra questi virtuosi, che lasciarono un repertorio (soprattutto di concerti) ancora oggi apprezzato, ricordiamo Niccolò Paganini, Henri Vieuxtemps, Henryk Wieniawski. Sull'onda della scrittura violinistica fortemente drammatizzata di Ludwig van Beethoven, che per il violino scrisse opere mirabili, quali il concerto op. 61, le sonate con pianoforte, i trii con piano e violoncello ed i quartetti, tutti i maggiori compositori dell'Ottocento dedicano al violino un ampio repertorio. Tra le sonate con piano, ricordiamo soprattutto quelle di Franz Schubert, Robert Schumann, Johannes Brahms, César Franck, Edvard Grieg, Gabriel Fauré, Claude Debussy, Sergej Sergeevič Prokof'ev, Maurice Ravel, Béla Bartók. Nella forma del quartetto d'archi, oltre ai già citati Schumann, Schubert, Brahms, abbiamo opere importanti di Luigi Cherubini, Felix Mendelssohn e della sorella Fanny, Antonín Dvořák, Alexander Borodin, e venendo più vicino a noi, oltre a Ravel, Prokofiev e Bartók, Arnold Schönberg, Dmitri Shostakovich, György Ligeti, Robert Crumb. Nel concerto, e più in generale nell'organico composto da violino solista con orchestra, trovano una felice espressione in particolare Mendelssohn, Schubert, Schumann, Dvořák, Brahms, Édouard Lalo, Max Bruch, Pëtr Il'ič Čajkovskij, Camille Saint-Saëns, Jan Sibelius, Béla Bartók, Igor Stravinsky, Alban Berg, Dmitri Shostakovich, Arvo Pärt. Nel corso del XX secolo avanzato, i compositori di musica classica, pur continuando, come abbiamo già visto, la tradizione ottocentesca, ricominciano parallelamente ad esplorare con grande libertà le forme della musica con violino, con una generale tendenza alla forma piccola ed all'organico contenuto, forse per reazione al gigantismo che aveva affettato la musica del secolo precedente, amplificata ulteriormente dall'estetica gonfia di retorica ispirata dai nazionalismi del primo '900. In questo senso, si riscontra un ritorno anche alla scrittura per violino solo, in qualche percentuale sempre ispirata all'opera di Johann Sebastian Bach ed ai Capricci di Paganini. Ricordiamo in particolare le opere di Eugène Ysaÿe, ancora Bartók e Prokofiev, Ernest Bloch, Bruno Maderna, Luciano Berio, Pierre Boulez, John Cage,Steve Reich (con nastro magnetico), Giacinto Scelsi. |