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Il nastro magnetico

Dopo aver dominato la scena per più di mezzo secolo, dalla sua prima apparizione verso la metà degli anni ’30 fino allo scorso decennio, con l’avvento del digitale non si può negare che il nastro magnetico, come tutto l’audio analogico, soprattutto in ambiente consumer-domestico, abbia subìto un tracollo. Resiste in realizzazioni di alto livello, grazie alle sue peculiari caratteristiche sonore, per certi versi inimitabili ed inarrivabili dal digitale, nei grandi studi di registrazione e nelle migliori suites di mastering dove la qualità senza compromessi ne richiede ancora l’opera, affiancandola alla duttilità e alla flessibilità del digitale. E’ un formato, come già accennato, magnetico-analogico ed il numero di tracce (e quindi di canali) che supporta vanno dalle 2 tracce su 1/4 di pollice per il mastering alle 24 tracce su 2 pollici per il multitrack recording con velocità di trascinamento che nel professionale si attestano oramai unicamente sui 15 e sui 30 ips (pollici al secondo), perchè l’utilizzo di velocità inferiori porterebbero a cadute di prestazioni che mal si coniugano con l’uso hi-end che se ne fa attualmente in questi contesti.

I principali vantaggi che hanno portato il nastro magnetico ad affermarsi nei confronti del suo storico rivale, il disco, nel mercato dell’audio professionale sono fondamentalmente tre, sommatisi gradualmente nella sua evoluzione:

  • la possibilità di registrare interamente lunghe performance infrangendo il limite dei 30 minuti del fonografo a disco 
  • la possibilità di editare, tagliare e giuntare le performance al fine di perfezionarne la resa estetica 
  • la possibilità di registrare più tracce parallele di audio 

Per la prima volta l'audio poteva essere manipolato come un'entità fisica, una novità sensazionale paragonabile solo all'avvento nei tempi moderni dell'hard disk recording. L'editing era effettuato semplicemente tagliando il nastro al punto desiderato, e giuntarlo ad un'altra sezione del nastro usando nastro adesivo, o più raramente colla. Il nastro adesivo doveva essere molto sottile per non alterare il moto del nastro, e l'adesivo doveva essere formulato con cura per evitare residui sul nastro o sulle testine; il taglio era fatto di solito obliquo a 45 gradi così da evitare "click" e rumori nella transizione, distribuendoli nei pochi millisecondi del taglio (ciò che oggi nell'hard disk recording si fa con il cross-fade). Inoltre la forma fisica della bobina rendeva facile per il tecnico muovere il nastro avanti e indietro per cercare il punto esatto del taglio, che veniva effettuato tramite una speciale taglierina posta di solito a lato del blocco testine del registratore, permettendo ad un operatore abile di effettuare un gran numero di tagli in maniera rapida ed accurata. La controindicazione del taglio obliquo però era che su un nastro stereo (ed ancora di più su un nastro multi-traccia) il taglio di un canale avveniva prima (o dopo) dell'altro.

Il nastro può ospitare tracce parallele multiple, permettendo registrazioni multi-traccia, oltre che stereofoniche. Questa caratteristica è quella che più ha rivoluzionato la registrazione della musica popolare e la sua industria dalla fine degli anni '50 in poi, dando al produttore una flessibilità enormemente superiore, permettendogli di re-mixare una performance molto tempo dopo che sia stata originariamente registrata. I primi registratori multitraccia avevano 4 tracce, che col tempo divennero 8, poi 16, 24 ed infine 32 (ed anche di più se consideriamo la sincronizzazione di più macchine multitraccia), e si scoprirono anche gli effetti che erano resi possibili dalla registrazione multi-traccia, come il phasing ed il flanging, i delays e gli echi, entrando a far parte delle registrazioni pop poco dopo l'introduzione dei registratori multitraccia.

Per l'uso amatoriale si adoperavano registratori a bobina molto più semplici, ed il numero di tracce e la velocità del nastro furono standardizzate per permettere sia lo scambio dei supporti tra i diversi registratori sia la musica pre-registrata.
E’ storicamente impreciso e oggettivamente arduo formulare una lista di formati attualmente in uso per la registrazione magnetica, poichè i formati negli anni sono stati numerosissimi, succedendosi l’un l’altro man mano che le esigenze dell’industria dell’audio cambiavano e si evolvevano e non è facile determinare univocamente quelli ancora in auge al giorno d’oggi, tali da poter essere definiti uno standard, visto che lo sviluppo e gli investimenti si sono sicuramente dirette verso il digitale, decretandone il definitivo abbandono. Tra i formati analogici sopravvissuti per onore e merito nel mercato della registrazione professionale sono:

  • Registrazione su nastro magnetico in bobine larghezza 1/4 pollice velocità 15 o 30 ips con o senza Dolby SR NR per applicazioni stereo mastering in ambiti broadcast
  • Registrazione su nastro magnetico in bobine larghezza 1/2 pollice velocità 15 o 30 ips con o senza Dolby SR NR per applicazioni stereo mastering in studio
  • Registrazione su nastro magnetico in bobine larghezza 2 pollici velocità 15 o 30 ips con o senza Dolby SR NR per applicazioni multitraccia da studio 24 o 16 tracce 

Questi formati prevedevano l’uso di bobine che era pratico per il lavoro professionale ma era poco maneggevole per i non esperti, ci fu quindi la nascita di una miriade di formati di nastro chiusi in cartucce di materiale plastico. In ambiente domestico non possiamo dimenticare il formato compact cassette Philips con nastro di larghezza 1/8 pollice e velocità di scorrimento 1 e 7/8 ips con vari spessori (da 16 μm per le durate minori come C-45 e C-60 e 11,2 μm per quelle maggiori C-90 e C-120). Notiamo come sia le velocità che le larghezze dei vari formati originino dal più grande e si ricavino dividendo a metà il formato successivo: dal nastro largo 2 pollici originano le misure più strette standard che sono 1 pollice, 1/2 pollice, 1/4 pollice per le bobine e per finire 1/8 pollice utilizzato nella cassetta Philips. Anche per le velocità di trascinamento vale la stessa osservazione: si parte dai 30 ips (pollici al secondo=76,2 cm/s), passando per i 15 ips, 7,5 ips, 3,75 ips per i registratori a bobine fino ai 1 e 7/8 ips (4,76 cm/s) della audio-cassetta Philips. Le microcassette adoperarono anche la velocità di 15/16 ips (2,38 cm/s) con una fedeltà sufficiente solo per la registrazione del parlato.

Come ci si può aspettare a maggiori velocità corrispondono maggiori prestazioni in termini di rapporto S/N e di risposta in frequenza, come anche larghezze maggiori del nastro: un nastro più largo che scorre alla più alta velocità assicura in teoria (ed anche in pratica) la maggiore qualità possibile. Non a caso per fare entrare la cassetta con il suo nastro stretto e la bassa velocità nell’HiFi c’è voluto un duro lavoro di ricerca sui materiali e le tecnologie delle testine e dei supporti magnetici, uniti a sistemi di riduzione del rumore come Dolby B, Dolby C, Dolby S e DBX.
I formati digitali su nastro magnetico nella breve storia di questa classe di apparecchi (tutto è durato meno di trent’anni in tutto, da metà anni ’70 agli anni 2000) sono stati tutto sommato pochi, tutti più o meno (chi può dirlo?) caduti in disuso a partire dagli anni ‘90:

  • Registrazione su nastro magnetico in bobine larghezza 1/2 pollice velocità 15 o 30 formato DASH (Digital Audio Stationary Head=audio digitale a testina stazionaria), fabbricati da Sony, Studer e Tascam, capaci di registrare 24 o 48 tracce a 16 bit o 20 bit, campionamento fino a 96 KHz, a seconda dei modelli
  • Registrazione su nastro magnetico in bobine larghezza 1 pollice per 32 tracce, 1/2 pollice per 16 tracce, velocità 15 o 30 formato ProDiGi, fabbricati da Mitsubishi con risoluzioni fino a 20 bit e campionamento fino a 48 KHz
  • Registrazione su nastro magnetico in bobine larghezza 1/4 pollice velocità 15 ips formato sia DASH che ProDiGi per il mastering stereo fino a 20 bit/ 96 KHz 

Da notare che si tratta in tutti i casi di costosissime realizzazioni destinate a studi di registrazione milionari, con alti costi di gestione, avevano bisogno di un particolare nastro a particelle metalliche (non dissimile a quello che adoperavano le cassette alla fine della loro evoluzione) avvolto in bobine grandi fino a 14 pollici, per garantire un’autonomia di una trentina di minuti a 30 ips. Le prestazioni audio erano quelle cui siamo abituati tutti ormai, per cui non è incomprensibile che siano velocemente tramontate in favore di formati più economici e pratici che ottenevano le stesse perfomances.

Nacquero quindi numerosi formati di registrazione digitale su cassette, anch’essi caduti ormai nell’oblio me nel decennio degli anni ’90 hanno alimentato l’industria della registrazione:


  • Registrazione digitale su cassette ADAT, formato sviluppato da Alesis che prevedeva 8 tracce audio a 16 bit (successivamente a 20 bit)/48 KHz su formato videocassetta S-VHS, con la possibilità di linkare insieme 16 macchine per un totale di 128 tracce con un sync proprietario accurato al singolo campione 
  • Registrazione digitale su cassette Tascam 8 mm, con caratteristiche analoghe al formato ADAT ma utilizzava come supporto una videocassetta Hi-Band 8 mm, il che rendeva incompatibili i due formati (ma che combinazione!!!) 
  • Registrazione digitale su cassette DAT (Digital Audio Tape), sviluppato da Sony per il mastering digitale stereo, campionamento senza compressione 16 bit/48 KHz (nelle ultime realizzazioni 20 bit) su cassetta proprietaria DAT con nastro da 4 mm, formato che si è affermato soprattutto nel professionale, con le apparecchiature fuori produzione dal 2005 ma con fornitura di supporti assicurata fino al 2010 
  • Registrazione digitale su DCC (Digital Compact Cassette) sviluppata da Philips e Matsushita nel 1992 e durata solo 4 anni. Il formato, a differenza di quelli finora citati, era chiaramente indirizzato al mercato consumer ed usava la stessa larghezza del nastro e velocità della cassetta prevedendo la possibilità di registrare e riprodurre le vecchie cassette analogiche, e, mediante particolari supporti con nastro a particelle metalliche, di registrare e riprodurre audio digitale codificato con l’algoritmo MPEG 1 Layer 1 

La situazione attuale vede il definitivo abbandono commerciale del nastro magnetico come supporto digitale perchè altre tecnologie informatiche, rese più convenienti ed affidabili dall’evoluzione, come hard-disk e memory cards, ed i vari formati di audio files, compressi e non compressi, ne hanno preso il posto. Diverso è il discorso che riguarda il disco, che nella sua incarnazione più moderna (quella ottica), continua ad essere un supporto conveniente ed affidabile, che l’industria continua a sostenere e supportare, soprattutto nell’archiviazione a medio-lungo termine, con un’evoluzione costante che attualmente vede il culmine nei due formati concorrenti, HD-DVD e BlubluRay disc.