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Il disco come supporto analogico

Il disco nasce come un formato meccanico-analogico, agli albori dell’esperienza della registrazione audio ed è il formato che, a differenza del nastro magnetico, che ha guadagnato nel tempo la supremazia nell’ambito dell’utilizzo professionale grazie alle sue caratteristiche, ha dominato da subito il mercato domestico per quasi tutto il ventesimo secolo fin quando non è stato gradualmente soppiantato dall’avvento del CD (il sorpasso è avvenuto nel 1988), ma che continua ad essere prodotto e venduto ancora nel 2008, rimanendo la scelta di una schiera di audiofili e collezionisti, oltre che di una ancora cospicua parte di DJ. La ragione di questo dominio va ricercata ancora una volta nelle peculiarità fisiche insite nel suo formato: nel caso dei DJ, rispetto al CD, il disco permette una manipolazione diretta. Inoltre, rispetto al nastro, il vantaggio dell’accesso casuale (tipico del supporto “disco” e comune quindi al CD) è assoluto nella ricerca veloce di un brano. Anche la durata della riproduzione era migliore (almeno rispetto ai formati su nastro a cassette) ed anche la praticità d’uso (rispetto ad un registratore a bobine da 1/4 di pollice grandi 10 pollici) era superiore per il grande pubblico. Il disco di vinile, che tutti conosciamo, è la più avanzata evoluzione del principio alla base del grammofono, e viene ancora oggi prodotto, sia pure per una ridotta schiera di appassionati. Sul supporto vi è inciso audio analogico stereofonico mediante metodo meccanico, con l’incisione di un solco elicoidale con profilo a V in cui i due canali sono codificati a 45 gradi rispetto alla verticale, ognuno su una delle pareti. Tale solco, quando letto da uno stilo, vi induce un duplice movimento orizzontale- verticale da cui il pick-up può ricostruire la forma d’onda in esso incisa. I limiti intrinsechi del supporto, alcuni dei quali condivisi con l’altro formato analogico, il nastro, sono:

  • il rumore, dovuto principalmente allo sfregamento dello stilo contro le pareti del solco, ed anche al rumore generato dal motore che viene captato dalla testina, anche se nelle moderne realizzazioni la sua influenza è decisamente minimizzata. Da menzionare anche il rumore indotto dalle vibrazioni presenti nell’ambiente, che si propaga attraverso il sistema piedistallo-giradischi-braccio-testina, oltre che il “tracking noise” dovuto agli effetti della forza centripeta indotta sullo stilo dal moto circolare del disco. 
  • la risposta in frequenza poco lineare soprattutto agli estremi dello spettro, dovuta alla difficoltà di incidere meccanicamente segnali di alta intensità a frequenze molto basse o molto acute senza rischiare di sovraccaricare il movimento dello stilo. Si aggira questo problema adoperando un’equalizzazione standard detta RIAA, che applicata in riproduzione dal preamplificatore ri-enfatizza le basse e le alte frequenze perse durante il cutting del disco, ma non si può evitare il progressivo degrado delle alte frequenze conseguente i successivi passaggi di lettura, in particolare con pressioni esasperate sullo stilo, o con stilo non adatto. 
  • la dinamica ridotta del supporto, conseguente alla ridotta ampiezza massima che si può dare all’onda per evitare movimenti troppo ampi nello stilo che lo possono far “saltare” il solco, dall’altro lato con il rumore intrinseco che impedisce la riproduzione corretta di livelli troppo bassi. Il programma va quindi compresso specialmente nei transienti prima di poter essere inciso sul disco. 

L’impossibilità di eliminare completamente tali limiti, ed il contemporaneo sviluppo della tecnologia digitale spinsero l’industria alla sperimentazione di nuovi formati digitali che promettevano di oltrepassare questi limiti, che culminarono con la presentazione del formato CD-DA nel 1982.